Tratto dal  blog  di  Stefano Fait

 

l’impersonalità rappresenta ciò che vi è di sacro negli esseri umani.

 

Il Noi e l’Ego sono ostacoli lungo la via che conduce a questa condizione di impersonalità, o vero Io, che qualcuno chiamerebbe “coscienza cosmica” e che è una forma di disincarnazione dell’anima.

 

Chi scopre questo dentro di sé, al di là di ogni riferimento, ama nel modo in cui lo smeraldo è verde, cioè non ne può fare a meno, si emancipa finalmente e definitivamente da quelle istituzioni ed ideologie che promettono una falsa immortalità alla propria identità sociale, inoltre, sente il dovere di tutelare e valorizzare la dignità di tutti gli esseri umani e del mondo circostante.  ….

 

La mente dell’umano impersonale non si chiude di fronte all’ignoto, all’imprevisto, all’insolito, ma lo brama, perché quello è il combustibile della sua creatività …. non ricerca certezze assolute ma esperienze, il midollo della vita … per non scoprire in punto di morte di non essere mai vissuto.

 

Nessuna personalità può contenere l’oceano interiore della coscienza, l’eterno, sublime ed infinito elemento umano. La coscienza aspira a risolversi in una rete di relazioni tra coscienze impersonali, cosmopolite ed interconnesse: “né giudeo, né greco” diceva Paolo di Tarso

 

Dogmi, convenzioni, consuetudini e l’ossessione materialista ci sbarrano la strada, ci impediscono di riconoscere la straordinarietà altrui e nostra.  

 

Ciascuno deve assumersi la responsabilità di se stesso,  il proprio sé deve diventare un progetto, dobbiamo diventare gli architetti della nostra anima. La nostra dignità risiede nell’essere, in larga misura, la persona che abbiamo scelto di essere, una creazione piuttosto che una creatura o un manufatto socialmente prodotto e determinato.

 

Gradualmente, la cura del sé si estende al prossimo ed all’ambiente, per poi prendere la forma della cura del cosmo. È una responsabilizzazione solenne che annienta la vacuità disumana del burocrate, la funesta disconnessione dalla realtà, l’ intorpidimento morale, la prioritarizzazione delle regole e degli interessi rispetto agli esseri umani, anticamera della violenza genocida.

 

L’impersonalità, pone al centro,  la sensibilità e la disponibilità del sé, poroso, fluido, illimitatamente espandibile, incurante della distinzione tra particolare e generale.   …

 

Le azioni e le parole delle persone che non subiscono abusi, che non affrontano un degrado morale e sociale permanente, cioè di quelle persone che si possono permettere di coltivare l’autostima, il rispetto di sé, il senso della misura, dimostrano che può esistere un mondo migliore,  un mondo in cui tutti quanti meritiamo di vivere.

 

Un mondo in cui si riesca a guardare all’altro con occhio benevolo, apprezzandolo e dedicandovi sollecitudine ed attenzione più di quanto l’altro riesca a fare nei confronti di se stesso, senza classificarlo, ridurlo in categorie, asservirlo ad un destino predeterminato o, peggio ancora, renderlo invisibile, irrilevante, inferiore, spregevole.

 

Un mondo che pretende onestà, trasparenza e genuina autenticità.

 

Non l’autenticità del sangue e del suolo, quella che dissolve l’io in un noi irresponsabile, infantile e barbaro, strumento nelle mani di leader narcisisti ed incontinenti nelle loro ambizioni e pretese di riconoscimento pubblico. Quei leader timorosi della vita perché bisognosi di ordine, di controllo, di potenza e di autorità.

 

È l’autenticità della voce interiore che conta, quella della propria natura, che assicura l’integrità personale anche nell’impersonalità, che contrasta la disgregazione e l’isolamento degli esseri umani.

 

La diluizione dell’io nell’infinito universale, consente di sviluppare una coscienza cosmica che rende la vita più piena, abbondante e meravigliosa, anche nei suoi aspetti apparentemente tragici.

 

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